Ci riguarda…
Riflessioni sull’aiutare e l’aiutarsi in tempi di coronavirus
di Maria Silvana Patti*
Il titolo di queste brevi riflessioni lo avevamo già utilizzato per una tavola rotonda sull’accoglienza ai rifugiati e non ritengo sia un caso che mi sia ritornato alla mente anche in questo frangente. Come in quell’occasione, infatti, la sensazione ‘sentita’ di essere tutti parte di una stessa storia si ripresenta in modo più deciso e, a tratti, più doloroso.
Siamo di fronte a qualcosa che minaccia il senso di sicurezza e la sopravvivenza di ciascuno di noi. L’origine etimologica del termine pandemia, d’altro canto, mette bene in luce come l’esposizione al pericolo interessi tutti, nessuno escluso.
E allora come la mettiamo con la necessità di costruire e di garantire (garantirci) quel senso di sicurezza interiore necessario ad affrontare la minaccia, potendo così vivere appieno la nostra esistenza, se questa minaccia è costantemente presente e riguarda tutti?
I nostri sistemi adattivi sono messi a dura prova, se non proprio sotto scacco, dalla paura di qualcosa di terribilmente reale e che rischia di soverchiare la nostra capacità di regolarci e di co-regolarci e, persino, il nostro sistema di accudimento: bisogna stare lontani, non possiamo abbracciarci, baciarci, perché altrimenti diventiamo dannosi. E se questa distanza protettiva, anche se difficile da sostenere, può essere compresa dalle persone adulte, si pensi a come possa essere vissuta dai bambini e alle difficoltà emotive che comporta e che comporterà.
Come psicologi e come psicoterapeuti ce ne dovremo sicuramente occupare in modo più consistente in seguito ma, per ora, torniamo al momento presente.
Il conforto deve essere dato a distanza e le piattaforme interattive on line e i social sono diventati non solo strumenti di relazione privilegiati ma indispensabili. In questo periodo, la parola e il modo in cui la usiamo assumono un valore enorme per l’impatto emotivo che possono avere sulle persone, nel bene e nel male.
Se, come psicoterapeuti, sappiamo benissimo quanto sia importante essere il più regolati possibile quando ci troviamo in seduta con i pazienti, occorre più che mai esserne consapevoli in questo periodo, in cui anche noi – in prima persona – stiamo cercando di tenere a bada la paura.
Non possiamo dimenticarci della minaccia, non possiamo agire ‘come se’ e non possiamo nemmeno lasciarcene travolgere: è un bel – o, meglio, orribile – dilemma.
La conseguenza di tutto ciò è che si tenda a ‘mollare’, a evitare il coinvolgimento, cadendo nel senso di inutilità e di impotenza totale e, dall’altro, che si tenda a strafare, a iperattivarsi, ad agire senza pensare, per avere un illusorio senso di controllo e di padronanza, spesso salvifico in molte situazioni traumatiche, ma forse poco efficace in questa emergenza.
Come si può trovare un equilibrio nell’estrema contraddittorietà del vivere attuale?
Credo che la risposta sia da ricercare nel titolo di questo intervento: “ci riguarda”. E poiché ci riguarda, serve che ci ‘riguardiamo’, che ci proteggiamo: abbiamo bisogno di trovare per noi e per gli altri la ‘giusta dose’ e la ‘giusta misura’ di lavoro e di sollecitazione.
La situazione che viviamo ci ha insegnato che tutelare noi stessi coincide irrimediabilmente con il tutelare gli altri: ascoltiamo i nostri bisogni, fermiamoci quando sentiamo di non farcela, aiutiamo con consapevolezza, non coinvolgiamoci in troppi progetti, scegliamo gli interventi che sappiamo padroneggiare meglio.
I bisogni sono tanti e serve agire soprattutto per dare una mano a chi è in prima linea (medici, infermieri, sanitari) e deve continuamente essere attivo.
E se è vero che non si può troppo tergiversare, che bisogna correre, scegliamo uno stile di corsa più adeguato: non facciamo maratone creando assembramenti tossici, ingaggiamoci in staffette. Diamoci il cambio. Ne abbiamo bisogno. Tutti.
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Milano, 22 marzo 2020
*psicologa e psicoterapeuta. Coordinatrice del Servizio di terapia del trauma psicologico dell’ARP